Rivista sulle arti sceniche e altro...
Il teatro nel suo farsi necessita di un automatismo che gli è proprio: quello di persone che prestano l'apparenza del loro essere, attraversato da un quid che trasforma la stessa apparenza in qualcosa d'altro. Qualcosa che potenzialmente deve avvenire. È ciò che si chiama personaggio. Il teatro, quando si fa spettacolo, deve racchiudere in sé forze e dinamiche che prendono vita attraverso le vicende dei singoli personaggi che costruiscono avvenimenti, e questi nel loro svolgersi tracciano una linea d'intesa (o almeno dovrebbero) tra ciò che danza sul palcoscenico e gli spettatori, che a loro volta danzano nello spazio loro riservato. È una danza che avviene nei loro sensi, nella loro fantasia, nei loro sentimenti, nelle loro sensazioni, mosse dall'azione che avviene dinnanzi ai loro occhi. Il teatro, che sin dall'inizio definisce lo spazio del proprio accadere, sia esso una radura, una grotta, un'arena, ha come oggetto un rituale "sacrificatorio". Sin dal suo nascere, insomma, il teatro centra la sua attenzione su un luogo preciso che è il centro del suo farsi: il palcoscenico. In questo luogo, a volte infossato, a volte innalzato, il sacrificio inizia, si svolge e, infine, si esaurisce. Attorno a questo luogo, che possiamo assimilare ad un altare, avviene una narrazione scandita e ritmata al fine di contribuire a celebrare memorie (avvenimenti realmente accaduti, condizioni dell'animo comuni a tutti gli uomini, momenti di evocazione di quel che uno vorrebbe o dovrebbe essere).
Tali memorie a loro volta riuniscono, educano, fanno crescere un popolo: è questa all'inizio l'idea che fa nascere il teatro. Si è detto spesso che ogni epoca ha il suo teatro, forse perché ogni epoca ha un suo modo di celebrarsi. Ma quali sono gli elementi di questa rituale celebrazione? E, ancora, qual è la funzione che in ogni epoca il teatro per essere vitale ha dovuto svolgere all'interno delle singole società?
Prima di considerare questi aspetti è necessario porre una brevissima premessa: si ha teatro quando si ha un popolo. Senza popolo il teatro non è più, com’era all'origine, un luogo rigenerante, cioè formativo, diviene invece un luogo in cui l'elemento preminente è quello ludico. Il gioco nel teatro ha un aspetto importante ma è solo uno dei mezzi, e non ne è l'essenza. E quando il teatro si fissa soltanto su uno dei suoi mezzi (il gioco, il gusto, la sensazione, ecc.) perde la propria ragion d'essere: che consiste nel ricordare e cambiare l'esistenza.
Oggi molti, e anche i maestri, dicono che il teatro non può salvare il mondo né cambiare l'individuo. Ma all'origine non era così. All'origine il teatro talmente era connesso alla vita del villaggio, della città, dell'individuo che la celebrazione teatrale scuoteva l'animo umano a tal punto da turbare l'esistenza di chi osservava, ascoltava, partecipava all'evento scenico. Tutto ciò avveniva perché teatro era far memoria della vita di un popolo.
Gli elementi che gli erano propri si possono riassumere in questi cinque:
primo, il riconoscimento di un'appartenenza (il teatro aggregava attorno a sé individui della stessa terra, della stessa storia, dello stesso evento vitale);
secondo, la celebrazione dell'eroe, o della divinità, presentati sempre come vittima (era il fare memoria di qualcosa di grande che aveva costituito i fondamenti dell'identità personale o comunitaria);
"Mi sembra che il teatro stia sopravvivendo nelle catacombe.
Oggi, la catacomba, è il modo per affermare, con grande difficoltà, una fede.
Se il teatro non ha fede, se si preoccupa solo del risultato immediato, se non è capace
di fermarsi e resistere [..] il teatro è destinato a perdersi". - Gianni Ratto
Copyright © All Rights Reserved