The Magdalena Project

THE MAGDALENA PROJECT

Muoversi nella differenza

di Selene D'Agostino




Un gruppo di donne del teatro che negli anni è cresciuto divenendo crocevia di scambi artistici e coinvolgendo persone dalle parti più disparate del mondo.                                                     Gli incontri periodici sono focalizzati su specifiche tematiche. Nel Magdalena non esiste un'omologazione delle poetiche e delle tecniche di scena o dei temi degli spettacoli, ma il contrario, vige un'eterogeneità fertile di stili.





Il Magdalena Project, rete di donne del teatro fondata dalla regista Jill Greenhalgh  in Galles (1) nel 1986, scaturisce dal teatro di gruppo europeo degli anni ’70-’80. La rete Magdalena «è un gruppo di donne che non sono un gruppo [teatrale] […] sono donne segnate, nonostante il lavoro di gruppo, da una profonda solitudine» (2) . Se è stato possibile fare incontrare donne provenienti da tradizioni e retroterra teatrali variegati per condividere la propria pratica artistica, ciò si deve non solo alla tenacia della regista gallese, ma anche al sostegno di Julia Varley, attrice e pedagoga dell’Odin Teatret in Danimarca, di Helen Chadwick, cantante, attrice e regista, e ad altre artiste della scena europea (3). Insieme hanno creato una rete dinamica, un crocevia di scambi artistici che oggi si compone di attrici, registe, drammaturghe, scenografe, artiste visive, cantanti, ricercatrici, che oltre a esercitare la propria professione nei paesi in cui vivono organizzano festival, incontri, conferenze e laboratori, gestiscono un sito web, scrivono articoli, editano riviste (The Magdalena Newsletter e Open Page) e scrivono libri. Attività che fanno del Magdalena Project un tempo e uno spazio da cui emerge il carattere polifonico della rete.


Sin dal primo momento le artiste si sono affidate alla scrittura e al racconto, per conservare una memoria documentata degli incontri e tenere vive le riflessioni sui temi cardine del Magdalena Project, e soprattutto per scrivere della propria pratica teatrale. Questo è stato possibile grazie a due riviste: The Magdalena Newsletter, pubblicata tre volte l’anno dal 1990 al 1999, e The Open Page, editata annualmente dal 1996. Di entrambe le riviste è interessante osservare la forma di scrittura: sempre in prima persona. The Open Page raccoglie i pensieri di artiste e studiose di teatro che si raccontano in un io-collettivo polifonico per lasciare un segno tangibile della propria storia personale (un viaggio, il ricordo artistico e umano di una attrice scomparsa) e professionale (il proprio training) oltre a volerne condividere le strategie. Ogni numero pubblicato è diverso per il tema e per le autrici dei testi: poche appaiono in più numeri e tra queste Gilly Adams, Geddy Aniksdal, Maggie B.Gale, Jill Greenhalgh e Julia Varley che fanno anche parte della redazione permanente della rivista. Anche nel modo in cui sono organizzati gli incontri viene sottolineato l'aspetto polifonico del Magdalena Project. Nei giorni di un incontro, variabili da tre a dieci, i laboratori mattutini tenuti da diverse artiste internazionali si incrociano con le conferenze pomeridiane che raccolgono in uno stesso luogo artiste a prendere parola sul tema che fa da cornice al Magdalena organizzato oppure si alternano con la presentazione di diversi work in progress. Generalmente ogni giornata si conclude con uno o due spettacoli serali. Nell'arco dell'incontro sono inoltre previsti spazi per i partecipanti i quali possono mostrare brevi frammenti del proprio lavoro. Questo è ciò che è accaduto per esempio nel primo incontro del Magdalena Sin Fronteras organizzato per dieci giorni a Santa Clara (Cuba) nel 2005 dall'attrice e regista Roxana Pineda e dal suo gruppo Estudio Teatral. Ventiquattro artiste internazionali sono state invitate a condurre laboratori e spettacoli, presentare dimostrazioni di lavoro e partecipare alle conferenze sul tema Embriones en Libertad. Embrioni in libertà, che allude alla creazione, metaforicamente si riferisce «a ciò che c'è di imprevedibile nell'incontro tra donne di diverse parti del mondo che possono giungere al centro dell'isola e depositare il proprio uovo senza sapere dove potrebbe essere accolto e riscaldato» (4). Questo primo incontro ha gettato le basi per quelli successivi nel 2008 e nel 2011 grazie ai numerosi legami instaurati con le realtà locali (scuola d'arte, orchestre, teatri di marionette, studenti, un coro, case di riposo, orfanotrofi). Il Magdalena Sin Fronteras, uno degli avvenimenti pedagogici più importanti del teatro cubano negli ultimi quindici anni, ha organizzato laboratori sulla «presenza dell'attore», la «memoria del corpo», l'«uso drammatico degli oggetti», e l'«odissea di scrivere», la voce e la costruzione di maschere a conferma del fatto che il Magdalena è un luogo speciale dove visioni teatrali estetiche, concettuali e metodologiche diverse si integrano (5). Nel Magdalena non esiste un'omologazione delle poetiche e delle tecniche di scena o dei temi degli spettacoli, ma il contrario, vige un'eterogeneità fertile di stili.


Grazie a queste modalità, oggi, dopo più di 25 anni di attività, la rete si estende dall’Europa all’America Latina, all’Australia e all’Asia. Si compone di donne diverse per età, generazione e cultura che incontrano nello spazio del Magdalena Project un universo di relazioni personali che funziona come nesso centrale tra diverse compagnie teatrali e tra praticanti isolate che condividono l'impegno di rendere visibile e rafforzare lo sforzo artistico e il lavoro delle donne.


Tutte sono impegnate tanto nella pratica quanto nella teoria del teatro, perché la maggior parte delle storie del teatro, o dei libri su teoria e pratica teatrale, non solo sono stati scritti da uomini, ma in più raccontano l'esperienza esclusivamente di registi e drammaturghi uomini, mentre raramente vi appaiono riferimenti a donne. Sebbene le donne siano state attrici e artiste importanti, non hanno elaborato teorie e le loro esperienze si manifestano in forma di biografia, lettere o racconti. È quello che denuncia Julia Varley in Pietre d’acqua quando scrive: «vorrei realizzare un sogno paradossale: una storia nella quale persone anonime abbiamo un viso e una voce» (6), perché da quando lavora con l'Odin Teatret e ascolta le conferenze di Eugenio Barba, il suo regista, sente citare solamente nomi di artisti (registi, drammaturghi, scenografi ecc) del panorama teatrale internazionale. Lo sforzo del Magdalena Project va in questa direzione, verso il riconoscimento di una eredità pratico-teorica nella storia del teatro mettendo «sottosopra i criteri abituali e [accentuando] l'importanza di assistere, allevare, organizzare, tradurre, ispirare, sentire, prendersi cura di una famiglia o di una compagnia, essere in scena e lasciarsi guidare dall'intuizione» (7). Allo stesso tempo va verso la costruzione di una metodologia e di un’estetica che scaturiscono dell'unione di tecniche la cui autorevolezza artistica si basa sul riconoscimento dell'esperienza narrata dalle voci in prima persona delle protagoniste.


foto di Helen Varley Jamieson

Per lo più invisibile e ai margini del teatro stesso, la rete Magdalena ha generato così nel tempo strategie di sopravvivenza - relazionale, organizzativa ed economica – efficaci e creative, che in un aggettivo definirei carsiche, tali da garantire la sua esistenza fino ad oggi. Se negli anni '80 la ricerca di contesti teatrali altri era nata da necessità pratiche volte a risolvere, o perlomeno arginare, l’esclusione artistica di artiste professioniste dal mondo teatrale, oggi fare arte ai margini significa trovare un'appartenenza ed uscire dalla segregazione. Il progetto è come l'acqua, scorre sotterraneo trasportando a distanza principi e soluzioni operative che emergono in superficie nella realizzazione di un incontro. Incontri che si propagano per contatto diretto di modelli ed esempi privi di una organizzazione gerarchica. Al contrario l'autorità del nucleo storico si radica, salda e presente, nel rigore del lavoro quotidiano. Una rete il cui modello epistemologico è la gemmazione la cui peculiarità è il rifiuto della logica della crescita per quantità a favore invece della capacità di generare da ogni incontro relazioni trasversali che potrebbero gemmare in un nucleo il quale, a sua volta, vivrà di vita propria in un terreno attiguo. Ogni nuovo incontro è così radicato localmente là dove si è innestato. Senza aderire ad alcun precetto ideologico il Magdalena Project è femminista quando si fa azione e crea spazi e occasioni di scambio in cui le relazioni, sostanza stessa dell'idea di rete, non sono strumentali alla distribuzione degli spettacoli sul mercato.


Nel 2011 il Magdalena Project ha festeggiato i suoi 25 anni. L'incontro di Cardiff dal titolo “Legacy & Challenge”, Eredità e Sfida organizzato da Jill Greenhalgh fa il punto sui 25 anni del network internazionale e riunisce i fermenti seminati nel mondo. Il tema proposto da Jill Greenhalgh è stata l'occasione per valutare l'eredità della rete Magdalena, che oggi si trova ad un punto di svolta, poichè si interroga sulla sua struttura attuale con l'obiettivo di identificare sfide future. Sfide poste all'insegna della sperimentazione e della proposta di nuove strategie per pensare, fare, organizzare senza interrompere il processo di gemmazione. Sostanziale è l'idea di trovare un luogo fisico in cui esercitare il proprio mestiere che tuttavia non diventi sede di una tribù, bensì sia occasione e luogo di scambio professionale e conviviale che, come afferma Cristina Castrillo, regista del Teatro delle Radici a Lugano, sia «un’isola [chiamata] Magdalena nella quale si costruisce con le unghie quello spazio unico e insostituibile di dialogo, di critica, di apprendimento delle vecchie e nuove generazioni che inventano futuri senza rinnegare la radice del passato» (8) – in cui le artiste e gli artisti si incontrano per una necessità ben precisa, per creare spazi di libertà individuale che trovino solidarietà e rigore nella condivisione di spazi espressivi collettivi.


Il Magdalena nel tempo ha sviluppato caratteristiche proprie aggiornando l’idea di un teatro politico in cui predominano «due qualità o poteri: la metafora e la bellezza»  (9), affermazioni del diritto alla creatività femminile radicatasi nel tessuto sociale di quei contesti in cui le donne subiscono soprusi e vivono in condizioni sociali e culturali indegne: «una azione teatrale/politica (e non solamente politica senza essere teatrale) deve possedere il potere della metafora e avere la qualità di essere bella, racchiusa nelle proprietà estetiche» (10). Una bellezza contundente, vulnerabile, di sfida che accomuna tutte le artiste del Magdalena Project ognuna delle quali coltiva uno spazio, il proprio, scrivendo la storia di una nuova rivoluzione senza armi, pacifica, basata sul culto della memoria, sulla persistenza e resistenza delle piccole azioni quotidiane.



Note:


(1) Regista e attualmente docente di Performance Studies presso l'Università di Aberystwyth in Galles.

(2) A. Woolf, Mujeres sobre las olas, in «Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas», Vol. LXXVIII, n. 1, enero-marzo 2005, p.41.

(3)   Brigitte Kaquet ideatrice del Festival Voix de Femmes in Belgio, Brigitte Cirla regista e attrice del gruppo Voix Plyphoniques in Francia, Gilly Adams story-teller e regista, Geddy Aniksdal fondatrice e attrice del Grenland Friteater in Norvegia.

(4)   Libretto di presentazione del Magdalena Sin Fronteras 2005 (traduzione dell'autore).

(5)  Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas, Vol. LXXVIII, n. 1 enero-marzo 2005, p. 13.

(6) J. Varley, Pietre d'acqua. Taccuino di un'attrice dell'Odin, Ubu Libri, Milano 2006, p.14.

(7) J. Varley, Pietre d'acqua. Taccuino di un'attrice dell'Odin, Ubu Libri, Milano 2006, p.14.

(8) C. Castrillo, Una isla que recoge los náufragos que todavía sueñan, in «Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas», Vol. LXXVIII, n. 1 enero-marzo 2005, p. 22.

(9) A. Woolf, Mujeres sobre las olas, in «Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas», Vol. LXXVIII, n. 1 enero-marzo 2005, p. 40.

(10) Ibidem.





Bibliografia:


Castrillo, Cristina

2005: “Una isla que recoge los náufragos que todavía sueñan”, in Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas, Vol. LXXVIII, n.1 enero-marzo 2005, pp.21-22.


D’Agostino, Selene (a cura di)

2010: On tiptoe a Santa Clara, Roma, Bulzoni.


Gale, Maggie B. – Greenhalgh Jillian

2013: “Magdalena@25: Articulating the Magdalena Project – Past, Present, Future”, in Contemporary Theatre Review, pp.182-191.


Varley, Julia

2006: Pietre d'acqua. Taccuino di un'attrice dell’Odin Teatret, Ubulibri, Milano.


Woolf, Ana

2005: “Mujeres sobre las olas”, in Tablas. La Revista Cubana de Artes Escénicas, Vol. LXXVIII, n.1, enero-marzo 2005, p.41.


Libretto di presentazione del Magdalena Sin Fronteras 2005 (traduzione dell'autore).