Rivista sulle arti sceniche e altro...
L'incontro e la collaborazione: l'opera teatrale è sempre frutto di un'opera collettiva tra registi, attori, scenografi, costumisti, e tanti altri. Ma in questo caso l'aspetto collettivo nasce con la stessa stesura del testo, congegnato da Filippo Tomasi insieme con Giovanni Moleri. Attraverso limature e riletture e affinamenti e confronti; così che la parola sgorghi come elemento scenico, rivestito di immagini.
Innanzitutto: perché scrivere un pezzo su Maria che piange sotto la Croce? Giovanni affronta spesso temi religiosi nel suo teatro. È alla continua ricerca di Dio. “Chiuso fra cose mortali / anche il cielo stellato finirà / perché bramo Dio?” (Ungaretti, Dannazione, da Il Porto sepolto).
Io non l’ho scelto direttamente. Giovanni mi ha chiesto se lo aiutavo a scrivere questo testo.
La prima cosa che mi ha detto è che per scrivere bisogna sentirne l’esigenza esistenziale. Se non scrivi questa cosa domani non avrai i soldi per la pagnotta. Io non avevo in realtà una necessità così forte ma ho accettato. Era un’occasione per lavorare con Giovanni. Dovevo però in qualche modo mettermi in sintonia con lui; dovevo fare in modo che anche per me questo lavoro diventasse un ostacolo inevitabile. Allora mi sono fatto incalzare da Giovanni, dalle sue telefonate alle 11 di sera, dalla sua ostinazione. Ho preso appunti sul retro di copertina di un libro mentre in macchina andavamo a mangiare. Siamo andati perfino a pesca. Lui pescava: emblema della pazienza ma anche di estrema attenzione, io scrivevo sapendo che quando sarebbe uscito dal fiume avrei dovuto leggergli il pezzo. Il modo di lavorate di Giovanni è di per sé incalzante. Lavora con il pensiero che non c’è mai tempo da perdere. Così alla fine mi sono ritrovato con un pezzo tra le mani.
In realtà questo non basta. Io sono stato attratto anche dal tema del lavoro. La mia è la condizione di un uomo laico ma con una attrazione fatale verso la sfera spirituale, verso la ricerca di una possibile manifestazione del divino.
Il teatro mi sembra un luogo adatto a questo, il teatro dell’Aleph in particolare.
Tutto questo fa parte del lato SOGGETTIVO del lavoro. Ed è indispensabile.
La parte soggettiva però non è di per sé comunicativa, non sempre, verso l’esterno, verso chi legge quello che scrivi. Bisogna trovare il modo per riuscire a trasmetterla e per questo serve un METODO di lavoro. Un metodo è un insieme di regole che vanno seguite per giungere a uno scopo. Nel campo della scrittura creativa non si può certo parlare di metodo scientifico vero e proprio. Il metodo scientifico ha valore predittivo mentre la scrittura non è scontato che porti a un risultato prevedibile. Ma del metodo scientifico rimane la forza della ricerca che consiste nel trovare qualcosa di ignoto piuttosto che cercare qualcosa di già noto o presunto tale. Usare METODO è la parte OGGETTIVA del lavoro. Il risultato sarà ovviamente una soggettività (ciò che mi brucia dentro) guidata e manifestata (un testo carico di una forza che tutti dovrebbero sentire).
Ora, raccontando le fasi del lavoro, l’intreccio tra le due componenti che ho considerato sarà molto più chiaro.
1. La chiacchierata. Quello che in ambito aziendale si chiama brain-storming. Ci siamo posti delle domande. Cosa dice questa donna? Cosa fa? Perché? Domande proprio di base. Giovanni mi ha parlato di poeti cristiani che hanno scritto già di queste cose e di altri autori che hanno scritto cose su temi affini.
2. Poi io ho letto qualche brano di testi che Giovanni mi ha dato o consigliato. In realtà non si è trattato di un vero studio, che sarebbe forse auspicabile, ma di una documentazione che mi potesse dare dei punti di riferimento corretti, concreti e di suggestione. È la ricerca della conoscenza minima.
3. Così ho trovato un punto di partenza. È stato il pensare e rivedere la Pietà di Michelangelo e l’opera del Romanino nella chiesa di S.M. della Neve a Bisogne. Due Madonne “bambine”. La loro disperazione le ha restituite all’artista come due giovanissime impotenti davanti alla grandiosità degli eventi cui stavano assistendo. È solo un punto di partenza. Non so quale traccia abbia lasciato nel testo, ma non importa.
4. Così ho cominciato a scrivere. Giovanni mi ha raccomandato di avere uno schema e mi ha detto che il testo doveva essere scritto in discorso diretto in prima persona e contenere una preghiera finale. Ovviamente lo schema contiene alcune delle questioni di cui si è parlato nella prima fase:
a. La disperazione
b. La tragica consapevolezza che il figlio muore solo
c. Si guarda attorno e non c’è nessuno
d. Nemmeno Dio
e. Invocazione di aiuto agli amici che vede lontani
f. Per farli avvicinare ricorda loro la vita trascorsa in compagnia di Gesù
g. Arriva l’apostolo Giovanni
h. Preghiera finale
Questo è proprio il primo schema che io ho tracciato e si vede che è un po’ debole. Non c’è un netto passaggio drammatico tra i vari momenti.
5. Prima stesura. La prima stesura è quella del famoso pomeriggio a pesca. Io ho scritto quasi di getto. Giovanni ha ascoltato il brano ma non era per niente soddisfatto. “Non si vede nulla. Non c’è dramma. Sei lontano dall’intento. Bisogna metterci più lacrime e sangue”. Il testo era molliccio. (La prima stesura manca della preghiera finale.)
6. Seconda Stesura. Ho riscritto il testo. Ho cercato di perfezionare lo schema e di inserire “lacrime e sangue”.
Schema:
a. Maria è svenuta e rinviene sotto la Croce
b. alza gli occhi vede suo figlio morente
c. Vede che il figlio muore solo
d. Sente il terribile silenzio di Dio
e. Cerca gli occhi degli amici
f. Li richiama usando i ricordi
g. Si accorge che qualcuno è arrivato a sostenerla: Giovanni
h. Preghiera
Lo schema contiene passaggi più netti e elementi di drammaticità. La stesura è piena di visioni drammatiche e altri elementi tragici. Ma sono troppi e disordinati.
7. Terza Stesura. È stata scritta assieme a Giovanni, seduti al tavolo uno di fronte all’altro. Le quattro operazioni fondamentali che abbiamo fatto sono state: divisione netta in capitoli, riordino delle parti del testo (ogni cosa nel capitolo giusto), togliere il superfluo (con la regola del mostrare di più scrivendo meno), scegliere le parole una per una quando ci sembrava necessario.
I capitoli:
a. Lei sotto la croce
b. Lui sulla croce
c. Il tradimento di Dio
d. Il tradimento degli amici, l’arrivo di Giovanni
e. La deposizione (che nelle precedenti stesure mancava)
f. La preghiera
8. Quarta stesura. Questa stesura ha riguardato solo la preghiera finale (conservo il mio primo testo). Giovanni mi ha detto che doveva finire con “… a te affido il mio spirito”. L’ho scritta con grande fatica. L’idea aveva uno schema semplice:
a. L’ultimo saluto
b. La confessione di nostalgia
c. La richiesta di presenza, di compagnia
Questa idea viene sempre dalla decantazione delle chiacchierate con Giovanni. Fa parte del mondo soggettivo.
9. Quinta stesura. Ho mandato a Giovanni la Preghiera. Erano 33 versi in numero pari di sillabe. Mi sembrava un buon lavoro perché fluiva morbido e dolce… Giovanni l’ha distillato a otto versi. Ma era giusto così.
"Dall'ora sesta si fece buio su tutta la terra fino all'ora nona" (Mt 27,45)
LEI SOTTO LA CROCE
Qui sbattuta tra il lampo e il tuono
Qui con gli occhi bui e brucianti
Appiccicata al suolo secco
Qui nel fango che odora di sangue e ferro
Le ossa mi tremano
Le dita intrecciate
Si strangolano l’una sull’altra
Si strangola il respiro
affogando nel fango
Si strangola il ventre
che ti ha portato
Figlio, io ti vedo,
piagato, steso, morente
(PAUSA)
Aria
Aria
Aria
(PAUSA)
Alzo gli occhi
Alzo gli occhi
E ti vedo
figlio
morente
inchiodato lassù
tra altre braccia
E io in ginocchio
sorreggo le mani
e la terra
impastata con il tuo sangue
Guardo lassù i tuoi occhi
spenti, “pesti e sanguinolenti”
Maschera di sangue
come di bestia rivoltata
sputo di sangue
che mi si appiccica alle vesti
riempiono l’urlo del tuo dolore
Figlio
mio bene
mio tesoro
mio amato
mio desiderato
Figlio
mio Dio
in questa ora io e te
LUI SULLA CROCE
Ridatemi mio figlio
signori vi prego
ridatemi mio figlio
Guardatelo
Solchi di lacrime
il suo volto
piegato sl legno che lo inchioda
grondano
scavano
bruciano
la gola arsa
che fatica a chiamare Padre
Dio mio, Dio mio,
perché l’hai abbandonato?
E’ la mia parola che si spegne
IL TRADIMENTO DI DIO
Tre colpi
Tre colpi di martello
Piedi che si calpestano
uno sopra l’altro
Fango che schizza nella terra
Voci come latrati
avvizziscono l’ultimo brandello di vita
a cui è tolto il tempo di invecchiare
Tre colpi
Tre colpi di martello
muovono con forza
le tue labbra all’ultimo respiro
Lacerano ogni battito
Sospendono il tempo
Tre colpi
Tre colpi di martello
Dio mio, Dio mio,
perché l’hai abbandonato?
Dov’è il tuo sguardo?
Questo è tuo figlio
non vedi?
Come puoi
come puoi
lasciare che sia colpito
frustato
sputato
insultato
bucato
trafitto
massacrato
sconfessato
Come puoi
come puoi
Abbandonarlo
alle mani
(PAUSA)
alle mani
di uomini
suoi stessi fratelli
tuoi stessi figli
Il suo pianto
non è il tuo pianto!
Il suo dolore
non è il tuo dolore!
Come potrà mai l’uomo piangere
ora
credendo che tu possa piangere con lui
Guarda
tuo figlio muore
e tu taci
Senti
Senti
Senti
Urla a te
Dio mio, Dio mio,
perché l’hai abbandonato?
(PAUSA)
Figlio,
guarda giù
Abbassa gli occhi
su questo grumo
che abbraccia la tua croce
Io sono qua
io sono rimasta
io muoio con te
Grondano le mie lacrime
con le tue
Gronda il mio sangue
col tuo
Gronda su queste carni
il mio dolore
col tuo
TRADIMENTO DEGLI AMICI E GIOVANNI
Occhi impauriti
che spiate la morte
ditemi
Chi mi sostiene?
Chi mi consola?
Chi mi stringe tra le sue braccia?
Occhi impauriti
Che spiate la morte
piangete con me
vi prego
piangete
piangete
Ombre dagli occhi lucidi
che vi agitate da lontano
che sobbalzate nella memoria
cingetemi la mano
così da curarmi il dolore
così che io possa ancora vedere
che la vita c’è
Cingetemi la mano
Un nuovo figlio
Una nuova madre
LA DEPOSIZIONE
Figlio tolto dal cielo
steso sulle mie braccia
fatti cullare
qui di nuovo
come allora
sul mio giovane ventre
Da me sei nato
ma tu non ci sei
Dove sei?
Dove sei?
Perché non posso di nuovo giungere a te?
Come un tempo
quando correvi
quando già sapevi
quando insegnavi
Ti abbraccio a me
per scaldarti
per baciarti
Figlio morto
Figlio mio
Vedi
i miei occhi gonfi
non vedono più
tanto è il dolore
tanta è la passione
tanto è l’amore
Guardo vicino
e la terra è tutta arrossata
guardo lontano
e le nuvole sono solo nere
la vista si copre di poche ombre
si muovono
scompaiono
Gli uomini sono allo sbando
e il pianto
non ha più ascolto
Le madri sono zittite
e i figli non hanno più appoggio
I padri sono persi nella loro lussuria
Sbatto la fronte disperata
in ogni dove
Si gonfia tumefatta
senza più speranza
Figlio
Figlio
Dove sei?
Carne della mia carne
qui tra le mie braccia
non dai consolazione
LA PREGHIERA
Ora è la notte
sfinita
esausta
piangente
sussurro
figlio mio
A te
mio Dio
affido il mio spirito.
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