Questo per me è Teatro

Parole d'Attore


RIFLESSIONI INTERIORI: QUESTO PER ME È TEATRO..."


Vita, sofferenza, impegno, espressione, il luogo dell'essere... Visto da fuori il teatro è spettacolo. Visto da dentro è ben altro: c'è un senso di missione. C'è un senso di comunità, il conforto dell'identità. E il desiderio di donare e in questo ritrovarsi. Ben più che un mestiere. Si suole parlare di “mission” quando ci si riferisce alle Aziende: è diventata una moda. Ma questa tendenza rivela il senso di una mancanza di cui forse il mondo post ideologico soffre con particolare accentuazione: la mancanza di senso. Nel teatro, elaborato in modo comunitario e come ricerca creativa, le persone che vi lavorano trovano questo senso. E lo raccontano in queste righe...


 


Scienza, Tecnica e Finalità


«Il Teatro dell’Aleph è un luogo dove, attraverso il lavoro della creazione artistica, si dà voce e vita a uomini, donne e popoli che nella storia hanno dato se stessi per l’umanità. Un luogo dove si realizzano spettacoli di senso, opere che contengono  sentimenti, dando la possibilità allo spettatore di  compiere un viaggio, o più di un viaggio, in mondi ricchi di storie ed emozioni umane, che permettono di riflettere sul senso della vita di ciascuno di noi.

Siamo costruttori di bellezza, come dice Papa Giovanni Paolo II: "la bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere".

Siamo creatori, doniamo noi stessi per trarre qualcosa dal nulla, per accendere quel fuoco, quella fiammella che dà senso e vita all'opera. La nostra materia di lavoro iniziale non è il ferro, non è l'argilla, non è il vetro, ma è l’assenza, il vuoto, ed è attraverso la ricerca di questa assenza, attraverso il lavoro degli attori e del regista in questa assenza, che risvegliamo gli spettri, i demoni che animano e danno forma allo spettacolo.

L’artificio è il nostro bagaglio tecnico scientifico dell’arte teatrale, è ciò che ci permette di rendere comprensibile allo spettatore ogni segno, ogni significato, ogni emozione che contiene lo spettacolo.

Oltre al lavoro della creazione, abbiamo il compito di ricercare, modificare, costruire e ricostruire un linguaggio teatrale, che sia al passo con i tempi della società, con l'evoluzione del pensiero umano, senza cadere nella banalità che la società oggi ci imbandisce con tanta facilità.

Un lavoro di fatica, di studio, di solitudine, che ha le sue origini dagli insegnamenti dei grandi maestri teatrali del passato, e della tradizione orientale, per arrivare a un  nuovo linguaggio, evoluto e modificato, non basato sulla sperimentazione astratta o sull'ansia di esprimere le proprie emozioni, ma che tenga ben presente il campo artistico in cui lavoriamo, cioè il teatro nella sua sacralità, e il suo fine: far vivere un'esperienza umana unica allo spettatore.

Questo avviene grazie al lavoro pedagogico e di ricerca della messa in scena del nostro regista, al lavoro di ricerca e sperimentazione dell'attore, basato sul suo allenamento fisico, e ai nuovi metodi di creazione dei vari personaggi. La ricerca di un mestiere, la ricerca di nuove tecniche, di nuove forme espressive, è la continua ricerca della bellezza.

Tutto questo lavoro, che  si chiude in fine nell'esecuzione degli spettacoli, per me è il Teatro dell'Aleph.

Concludo con le parole che Giovanni Paolo II ha scritto nell'apertura della Lettera agli Artisti, trovo che in esse si rispecchi l'essenza del Teatro dell'Aleph: "A quanti con appassionata dedizione, cercano nuove epifanie della bellezza, per farne dono al mondo nella creazione artistica"».


(Diego Gotti, attore, Teatro dell’Aleph)




Nostalgia di Trascendenza


«Perdere il Teatro per me ha coinciso con il perdere la mia identità.

Il teatro è il mezzo attraverso il quale ho potuto vivere.

Il corpo mi ha permesso di “esistere”, il teatro mi ha permesso di “essere”.

Da che mi ricordo, tutto il mio essere più profondo è sempre stato, solo attraverso il teatro.  Inteso come danza, suono, parola, azione, presenza.

Il teatro ha invaso il mio spirito e il mio spirito ha abitato il teatro.

Ed entrambi sono stati sfiorati, e a volte si sono ricolmati, da qualcun Altro.

Ho cantato la mia anima attraverso il teatro, ho accarezzato la Bellezza, ho dialogato con il Divino.

E nel momento in cui ho perso il teatro ho perso la mia identità.

Ho perso il tramite per essere, per amare.

Ho perso il tratto d’unione tra me e l’Altro.

Il passaggio attraverso il quale Egli risuonava in me.

E forse da me si effondeva».


(Lucia Pia Usuelli, attrice, Teatro dell’Aleph)


 Un porto che accoglie


«Pochi giorni fa ho sentito una persona definire il Teatro dell’Aleph un’OPPORTUNITÀ; riflettendoci un po’ sopra mi sono trovata d’accordo con questa definizione.


Il Teatro dell’Aleph è una sorta di porto, in cui chi approda viene accolto come una risorsa preziosa e in cui si ha la possibilità di sperimentare, crescere e conoscere.

È anche sacrificio e determinazione; sudore e solitudine, ma anche ricchezza, un’esperienza di vita per chi lo vive, sia esso attore o pubblico.

Alle volte è anche un rifugio in cui, a luci soffuse e in silenzio, si fugge dai rumori e dalla frenesia della vita, per  scavare dentro sé stessi, per trovare sempre cose e sensazioni nuove.


Ecco, in poche e semplici parole, cos’è per me il teatro …

il Teatro dell’Aleph».


(Elena Benedetta Mangola, attrice, Teatro dell’Aleph)





Una via per crescere


«Per me che sono giovane e ancora apprendista è un luogo da dove, praticamente ogni giorno, posso uscire dicendo di avere imparato qualcosa, sia nell’ambito del teatro che in quello della vita.  È una forte spinta che mi aiuta a crescere, a rendermi responsabile per poter sopravvivere, un giorno, con le mie sole forze. È, soprattutto, ciò  che mi ha fatto rispondere a una delle domande che più mi ha ossessionata: cosa avrei voluto fare nel mio futuro. Ora posso dire con certezza che il mio sogno è quello di diventare regista e poter fare almeno un film tutto mio e, anche se non sono certa che riuscirò a realizzarlo, questo è un luogo che  mi da la possibilità di rendere il mio sogno concreto e di sapere che, anche se fallirò nel mio intento, sarò sempre fiera e mai mi pentirò di quello che sto scoprendo, imparando e realizzando...».


(Giorgia Biffi, allieva attrice, Teatro dell’Aleph)