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Sono passati ormai due anni da quando, per la prima volta, mi sono scontrata–incontrata con Edith Stein, Suor Teresa Benedetta della Croce.
Dico scontrata perché non è una donna semplice, ma una grande donna: colta, forte e immensa. Figlia che ha il coraggio di mettere la fede della madre in discussione tanto da diventare atea, studentessa caparbia e instancabile alla costante ricerca della verità, femminista e donna di fede che muore con il suo popolo senza perdere la speranza e la gioia di vivere.
Quando mi è stato detto che avrei dovuto impersonare Edith Stein in uno spettacolo dedicato a lei e alla sua vita, non la conoscevo, o meglio, il suo nome mi era noto, ma non sapevo chi realmente fosse e quanto avesse fatto di grande nella sua vita.
Il mio primo approccio non è stato direttamente con lei, non ho letto autobiografie o libri che mi parlassero della sua vita, ma è stato con una musica yiddish.
Sono entrata nella sala prove e Giovanni, il regista dello spettacolo, mi dice: “Adesso ascolta questa musica e balla”.
All’inizio mi sono trovata un po’ sconcertata, poi la musica è iniziata e il suo tempo ha iniziato a battere dentro di me, le mie gambe hanno cominciato a muoversi e con loro hanno trascinato il resto: braccia, testa, schiena …
Ecco da cosa è nato lo spettacolo: da quei passi di danza, e da lì è andato avanti fino a delineare sempre di più questa figura che apparentemente è così difficile da racchiudere in soli sessanta minuti.
Se dovessi definire questo spettacolo, lo definirei proprio come una danza: i movimenti che faccio e il testo che dico sono come un susseguirsi di passi, una sorta di coreografia che alterna momenti di grande gioia a momenti di profonda tristezza.
È uno spettacolo che mostra una Edith Stein forte e risoluta, ma che ha anche bisogno dell’affetto della madre alla quale è molto legata; una Edith Stein che affronta le difficoltà con fermezza e con il sorriso, sempre pronta ad aiutare il prossimo e a sacrificarsi in nome di quel Dio che ha finalmente dato uno scopo e un obiettivo preciso alla sua vita.
Da due anni a questa parte, ogni volta che faccio questo spettacolo è come se mi avvicinassi sempre di più ad Edith Stein; ad ogni replica una parte del testo, un gesto, una musica segnano in me qualcosa che prima non avvertivo.
È come se qualcosa di lei mi si ripresentasse in modo più chiaro e significativo e così riesco ad andare sempre più a fondo di questa personalità così complessa e dalle mille sfaccettature.
Abbiamo proposto questo spettacolo anche a studenti delle scuole superiori; si iniziava sempre con la paura che la vita di una donna così lontana da loro e non affrontata all’interno del percorso di studi non sarebbe stata interessante per dei ragazzi abituati alla velocità e al mondo di oggi.
E ogni volta siamo rimasti stupiti dall’interesse che dimostravano sia durante lo spettacolo che dopo, quando veniva proposto un piccolo dibattito per rispondere alle loro domande.
Dopo un momento di imbarazzo iniziale il silenzio veniva interrotto da qualche studente più coraggioso degli altri e da lì cominciavano a fare domande tutte diverse l’una dall’altra e che riguardavano sia la vita di Edith Stein che lo spettacolo stesso.
Ed è stato anche il confronto con questi ragazzi che mi ha portata ad entrare più in profondità nella vita di Suor Teresa Benedetta della Croce, la loro curiosità è servita da incoraggiamento per essere sempre più preparata nell’affrontare le loro eventuali domande e lo spettacolo stesso.
Ogni volta che affronto lo spettacolo cerco di entrare più in sintonia con la storia di questa donna che rimane per me un modello e uno stimolo anche nell’affrontare la mia vita, con le sue difficoltà e i suoi momenti più belli.
Vorrei chiudere questo breve articolo con l’ultimo pezzo dello spettacolo che, secondo me, racchiude la personalità di Edith Stein: una donna coraggiosa che ama la vita e la ama anche nel momento in cui la sta per perdere per sempre, per avvicinarsi sempre di più a quel Dio a cui si è legata e che le ha dato la possibilità di essere vicina al suo popolo infondendogli coraggio anche nell’orrore dell’olocausto.
“Lì, in quelle camere bianche, bianche di terrore iniziai a cantare e con me il mio popolo, cantammo fino all’ultimo respiro; senza più aria, senza più parole.
Finché chiudemmo i nostri occhi al sole.”
Il testo dello spettacolo, liberamente tratto dall’autobiografia di Edith Stein, è di Giovanni Moleri e Giampiero Pizzol.
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