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È difficile decidere da dove far partire il mio discorso. Per questo motivo partirò da me. Ho steso il contenuto dei pannelli della mostra sulla Rosa Bianca nel 2010 e all’epoca avevo 23 anni, non è certo l’età che ci si aspetta dalla curatrice di una mostra, per quanto modesta questa possa essere. Ovviamente il materiale è stato corretto e verificato da persone con una maggiore competenza rispetto a me, ma i contenuti e la linea guida, così come i vari argomenti trattati li ho decisi io.
Fin dal momento in cui mi è stato proposto di imbarcarmi in questo progetto mi sono domandata per quale motivo avessero chiesto a me di realizzarlo. La mia giovane età e soprattutto la mia scarsa esperienza all’inizio mi hanno spaventata e temevo potessero essere un ostacolo alla buona riuscita della mostra. Una risposta l’ho cercata, e penso di averla trovata: e questa sta proprio nella mia età. Ero una loro coetanea, Sophie aveva 21 anni, Willi, Alexander e Hans 25, Christoph 24.
Nella loro giovinezza credo sia nascosto anche ciò che rende così forte la loro vicenda. Lo scalpore che ha alimentato la loro storia non può essere giustificato semplicemente dall’essersi opposti al regime nazionalsocialista, oggi sappiamo bene che in tutta la Germania erano più di 300 i gruppi locali di opposizione a Hitler.
Gli appartenenti al gruppo della Rosa Bianca erano ragazzi che amavano la vita e questo aspetto traspare in ogni loro parola, andavano a ballare, amavano stare con gli amici, erano appassionati d’arte e amavano la natura. Erano ragazzi ed è in questo che si gioca il loro essere speciali. È il modo in cui hanno deciso di affrontare la loro vita, sempre con la speranza e la fiducia nel futuro, un futuro che dovevano aiutare a costruire, senza delegare a nessuno compiti o responsabilità, avevano l'atteggiamento di sprezzante fiducia tipico dei giovani. Quello slancio che parte dalla pancia e non si può far tacere, quella paura che in realtà è pura adrenalina, quel fondo di ottimismo e di fiducia nel prossimo che non ti permette di credere che le cose non possono cambiare, se ce la si mette tutta.
Secondo George Wittenstein le motivazioni che possono aver contribuito a formare la sensibilità dei ragazzi della Rosa Bianca possono essere individuate in quattro punti fondamentali:
• Gli studenti sono sempre stati, nella storia, la classe più idealista e rivoluzionaria. Ribelle nei confronti dell’ordine esistente, nei confronti di convenzioni sociali vecchie e nuove in cui faticano a ritrovarsi.
• La maggior parte di loro nella prima gioventù aveva aderito alla “Bündisch Jugend”, organizzazione giovanile simile agli scout che fondava le sue radici nella delusione dei giovani nei confronti del vecchio ordine stabilito e delle scuole. Gli obiettivi del gruppo erano la libertà individuale, l’autodisciplina e l’adesione ai più alti principi morali ed etici.
• Provenivano da famiglie borghesi e i loro genitori erano (chi più apertamente, chi meno) oppositori di Hitler.
• Erano grandi amanti dell’arte, della musica, della lettura e della filosofia e questo non poteva che aver aperto in loro una finestra verso ciò che stava aldilà del mondo in cui si trovavano a vivere, soprattutto non poteva che aiutarli a crearsi un proprio, personale senso critico sulla realtà che stavano vivendo.
Nonostante la loro giovane età erano ben consapevoli dei rischi che correvano con le loro parole e con le loro azioni.
Hans poche settimane prima del suo arresto dichiara: «Dobbiamo vivere per esserci quando ci sarà bisogno di noi. Non me ne importa del carcere né del campo di concentramento. Vi si può sopravvivere. Ma non si deve mettere a repentaglio la vita».
Sia la sorella di Willi Graff, sia la sorella di Hans e Sophie Scholl, si sono spesso interrogate sul cliché di eroi in cui i loro fratelli dopo la loro morte sono stati rinchiusi. Entrambe puntano l’attenzione sulla loro natura umana.
Ecco le parole di Inge Scholl: «Possiamo veramente chiamarli eroi? Non hanno fatto nulla di sovraumano. Hanno difeso una cosa semplice, sono scesi in campo per una cosa semplice: per i diritti e per la libertà dei singoli, per la loro libera evoluzione e per il loro diritto a una vita libera. Non si sono sacrificati per un’idea fuori dal comune, non perseguivano grandi scopi. Ciò a cui aspiravano era che gente come te e me potessero vivere in modo umano e forse la cosa grande è proprio questa: che hanno avuto la forza di difendere con suprema dedizione i diritti più elementari dell’uomo».
Non resta che chiedersi perché dei ragazzi con una mente così brillante, con molti sogni e legati da rapporti profondi abbiano deciso di mettere in gioco la propria vita per cercare di svegliare le menti altrui. Perché non accontentarsi di compiere la INNERE EMIGRATION (emigrazione interiore) come facevano tutti quelli avversi al nazionalsocialismo, che non potendo espatriare dalla Germania si accontentavano di farlo nella sfera privata con la lettura, con l'arte o con la filosofia, esprimendo le loro idee e giudizi con le persone fidate? Perché questo a loro non poteva bastare? Semplice, il loro desiderio di libertà era troppo forte, così come quello di adempiere a un obbligo morale a cui non potevano sottrarsi. Questo senso del dovere traspare in ogni loro singola parola. Risulta rappresentativa questa frase di Sophie: «Non dovrebbe ogni uomo, in qualunque epoca viva, ragionare continuamente come se nel prossimo istante dovesse essere portato davanti a Dio e sottoposto al suo giudizio?».
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